L’appena trascorsa festività natalizia e l’imminente epifania, tra lecite riflessioni religiose e sovrapposte tradizioni consumistiche, portano l’attenzione sul dono, in particolar modo il dono rivolto all’infanzia.
Agognato da ogni fanciullo, il regalo, che sia l’antico giocattolo o il più moderno ritrovato tecnologico, ha da sempre una valenza educativa per nulla trascurabile, di massima ripercussione sulla formazione della personalità, meritevole di doverosissima attenzione, sicuramente chiara causa delle più recenti trasformazioni comportamentali delle nuove generazioni.
Chiunque infatti è attualmente genitore ricorderà che ai tempi della sua infanzia si era soliti ricevere un giocattolo unitamente alla raccomandazione: “È tuo. Non lo rompere perché non lo avrai più”. Questo semplice monito preventivo, poi amaramente confermato dai fatti, veicolava, ce ne rendessimo conto o meno, valori fondamentali ed altamente caratterizzanti il futuro atteggiamento nei confronti di se stessi e del resto del mondo.
Innanzitutto nasceva senso di orgoglio, responsabilità, appartenenza. L’oggetto era proprio. Addirittura, in caso di lieve lesione, lo si continuava a preferire ad un altro. Quindi ingenerava amorevolezza, affezione, ma soprattutto pensiero previdente, giacché incauti abusi erano puniti da irreparabile rottura e quindi inevitabile privazione. Questo modo di intendere e trattare l’oggetto sarebbe finito automaticamente con l’essere poi applicato nei confronti del prossimo e di noi stessi. Si imparava ad avere rispetto non solo delle cose, ma delle persone.
L’avvento invece di un sempre più sfrenato consumismo e di un progressivo sfaldamento del nucleo familiare, con conseguenti sensi di colpa, consapevoli o inconsci, da parte di uno o entrambi i genitori, ha fatto sì che i bambini di oggi ricevano doni, magnifici, ai nostri tempi impensabili, ma non hanno neanche il tempo di dedicarcisi, indagare su di essi (quanti giocattoli abbiamo noi, adulti di oggi, pazientemente smontato e rimontato!), conoscerli appieno, farne grande uso (talvolta fino a portarli la sera a letto), ed ecco che ne ricevono un altro, un altro ed un altro ancora. E appena se ne rompe uno, ecco arrivare immantinente il dono di sostituzione.
Si osserva che ragazzini odierni arrivano addirittura a distruggere scientemente il proprio telefono cellulare per ricevere subito in regalo il modello più recente.
Si perde così senso di appartenenza, rispetto delle cose, ma pure delle persone e di se stessi. Se un individuo è utile ci diventa caro, non appena perde la sua utilità con scandalosa noncuranza viene tradito; se poi tornasse nuovamente utile, ecco annichilirsi un altro secolare valore, la dignità, e tornare all’antico rapporto amichevole come nulla fosse successo. Se una parte del nostro corpo, suggestionati da valori indotti dai grandi mezzi di comunicazione di massa, non ci soddisfa, eccoci correre dal chirurgo plastico perché provveda, e ritornarci se la moda circa la bellezza fisica prende poi nuovo indirizzo. Le nostre fattezze vengono così miseramente ridotte ad un involucro asservito ad ogni subdolo giudizio collettivo imposto.
Che questo Natale e questa Epifania servano allora pure, e particolarmente, a capire che se attualmente non riusciamo a comprendere tanti ragazzi, i nostri figli, e forse le generazioni a venire, se crollano ogni giorno di più valori morali, come l’affidabilità, ed attitudini di pensiero, come la lungimiranza, di indubbia utilità individuale e collettiva, è anche per come viene avvicinato il giovane al resto del mondo, umano e materiale. E questo avviene, prepotentemente, attraverso il dono, per come viene fatto, per come viene sentito, e per come viene fatto percepire e vivere da chi lo riceve.
“La bellezza salverà il mondo” è una delle più celebri affermazioni di Fëdor Dostoevskij, ma, mai come oggi, forse dire “il giocattolo cambierà il mondo” non è meno significativo.
Agognato da ogni fanciullo, il regalo, che sia l’antico giocattolo o il più moderno ritrovato tecnologico, ha da sempre una valenza educativa per nulla trascurabile, di massima ripercussione sulla formazione della personalità, meritevole di doverosissima attenzione, sicuramente chiara causa delle più recenti trasformazioni comportamentali delle nuove generazioni.
Chiunque infatti è attualmente genitore ricorderà che ai tempi della sua infanzia si era soliti ricevere un giocattolo unitamente alla raccomandazione: “È tuo. Non lo rompere perché non lo avrai più”. Questo semplice monito preventivo, poi amaramente confermato dai fatti, veicolava, ce ne rendessimo conto o meno, valori fondamentali ed altamente caratterizzanti il futuro atteggiamento nei confronti di se stessi e del resto del mondo.
Innanzitutto nasceva senso di orgoglio, responsabilità, appartenenza. L’oggetto era proprio. Addirittura, in caso di lieve lesione, lo si continuava a preferire ad un altro. Quindi ingenerava amorevolezza, affezione, ma soprattutto pensiero previdente, giacché incauti abusi erano puniti da irreparabile rottura e quindi inevitabile privazione. Questo modo di intendere e trattare l’oggetto sarebbe finito automaticamente con l’essere poi applicato nei confronti del prossimo e di noi stessi. Si imparava ad avere rispetto non solo delle cose, ma delle persone.
L’avvento invece di un sempre più sfrenato consumismo e di un progressivo sfaldamento del nucleo familiare, con conseguenti sensi di colpa, consapevoli o inconsci, da parte di uno o entrambi i genitori, ha fatto sì che i bambini di oggi ricevano doni, magnifici, ai nostri tempi impensabili, ma non hanno neanche il tempo di dedicarcisi, indagare su di essi (quanti giocattoli abbiamo noi, adulti di oggi, pazientemente smontato e rimontato!), conoscerli appieno, farne grande uso (talvolta fino a portarli la sera a letto), ed ecco che ne ricevono un altro, un altro ed un altro ancora. E appena se ne rompe uno, ecco arrivare immantinente il dono di sostituzione.
Si osserva che ragazzini odierni arrivano addirittura a distruggere scientemente il proprio telefono cellulare per ricevere subito in regalo il modello più recente.
Si perde così senso di appartenenza, rispetto delle cose, ma pure delle persone e di se stessi. Se un individuo è utile ci diventa caro, non appena perde la sua utilità con scandalosa noncuranza viene tradito; se poi tornasse nuovamente utile, ecco annichilirsi un altro secolare valore, la dignità, e tornare all’antico rapporto amichevole come nulla fosse successo. Se una parte del nostro corpo, suggestionati da valori indotti dai grandi mezzi di comunicazione di massa, non ci soddisfa, eccoci correre dal chirurgo plastico perché provveda, e ritornarci se la moda circa la bellezza fisica prende poi nuovo indirizzo. Le nostre fattezze vengono così miseramente ridotte ad un involucro asservito ad ogni subdolo giudizio collettivo imposto.
Che questo Natale e questa Epifania servano allora pure, e particolarmente, a capire che se attualmente non riusciamo a comprendere tanti ragazzi, i nostri figli, e forse le generazioni a venire, se crollano ogni giorno di più valori morali, come l’affidabilità, ed attitudini di pensiero, come la lungimiranza, di indubbia utilità individuale e collettiva, è anche per come viene avvicinato il giovane al resto del mondo, umano e materiale. E questo avviene, prepotentemente, attraverso il dono, per come viene fatto, per come viene sentito, e per come viene fatto percepire e vivere da chi lo riceve.
“La bellezza salverà il mondo” è una delle più celebri affermazioni di Fëdor Dostoevskij, ma, mai come oggi, forse dire “il giocattolo cambierà il mondo” non è meno significativo.