
Non capita tutti i giorni di poter entrare all'interno di una torre Cinquecentesca, parte di uno degli ingressi più importanti della città di Napoli e tra i più belli esempi di porte rinascimentali in Italia, e trovarvi, al suo interno, un museo dedicato agli eroi delle due guerre mondiali, con tanto di cimeli, armamenti, cartine, fotografie ed un Sacrario consacrato ai caduti per la Patria.
Tutto questo è il Museo degli Arditi di Napoli, all'interno della Torre “Onore” di Porta Capuana.
Ma che cosa resta oggi della memoria di quei giorni lontani, a 100 anni dalla Prima Guerra Mondiale e a 70 dalla Seconda, a parte le celebrazioni commemorative ed istituzionali, perché un pugno di uomini asserragliati in una torre, come nell'estremo tentativo di resistere al tempo ignavo moderno, continuano ad operare tenendo viva la storia e tenendo aperto un museo dedicato all'Arditismo? Perché senza memoria storica una comunità è nulla.
Molti storici hanno definito l’Arditismo italiano una delle forme di guerra più confacenti al carattere nazionale, in quanto non vincolata da gerarchie, burocrazie e tradizionalismi, ma innovativa, individualista, basata sull’iniziativa personale. La casa editrice inglese di storia militare Osprey, nella sua collana Warrior ha inserito, tra samurai e forze speciali, proprio i nostri Arditi: Italian Arditi. Elite Assault Troops 1917-1920. Questa pubblicazione si affianca, tra l’altro, ad un altro volume, Gli Arditi della Grande Guerra di Giorgio Rochat, a testimonianza di un rinnovato interesse nei confronti di questa specialità tutta italiana; infatti, come affermato dallo stesso Rochat: “Gli Arditi meritano uno studio accurato, perché ebbero un ruolo significativo in diversi momenti della guerra e del dopoguerra. Il loro sviluppo nel 1918 fu dovuto anche alla necessità di presentare al Paese un nuovo modello di combattente entusiasta e convinto, valoroso e vittorioso”. Da un punto di vista strettamente militare, infatti, e rispetto alla rassegnata obbedienza degli altri soldati, lo spettacolo degli Arditi che andavano in battaglia doveva essere davvero sorprendente. L’Ardito fu un combattente di tipo nuovo, un volontario che aderiva totalmente alla guerra e che la guerra voleva vincerla a ogni costo; un soldato lontano dalla supina obbedienza e dal militarismo apolitico dell'esercito regolare: un soldato politico.
L’interesse verso tali figure storiche legittima, dunque, questa attività di conservazione del patrimonio culturale portata avanti dagli Arditi di Napoli e dal Presidente del Museo, Aldo Parrella, perché, come ha avuto modo di scrivere il generale Fabio Mini, riflettere sulla dimensione operativa e fattiva, di cui gli Arditi furono maestri: “è anche un esercizio di umiltà, un ritorno alle origini soprattutto quando il mondo complesso e tragicomico della geopolitica e della grande strategia sembra ottenebrare la tattica, che poi è la metafora della vita di tutti i giorni, la base della sopravvivenza individuale e delle piccole comunità, il tessuto reticolare dove interagiscono gli uomini, i loro sentimenti e le loro frustrazioni. Ci sono quelli, soldati e non soldati, che ogni giorno devono vivere immersi nel fango delle circostanze, e che non vogliono sapere nulla dei macro-sistemi o della grande politica, ma vogliono sopravvivere e trovare nella lotta il motivo di una vita dignitosa. Una vita da eroi”. E anche questo c’è nel Pantheon italiano.
Rossella Marchese
Foto Nicola Massaro