Quando dipinse la sua Suonatrice di liuto, attorno al 1644, Jan Vermeer era già nella sua piena maturità di uomo e di artista. La tela rappresenta, con stile poetico e delicato, una scena di interno: una donna intenta ad accordare un liuto, con lo sguardo rivolto alla finestra da cui entra una chiara luce diurna.
Nella sua semplicità la scena è potente; la maestria con cui l’artista olandese ha “fotografato” il momento è frutto di uno studio certosino sulla luce e sui dettagli, suo segno distintivo.
Le composizioni delle tele di Vermeer, infatti, sono tutte attentamente composte, ogni elemento forma un insieme di grande equilibrio in cui la luce è protagonista; una luce che ha sempre una precisa provenienza: quasi sempre una finestra collocata sul lato sinistro della stanza, che fa entrare quel chiarore che anima la scena. Certamente uno degli ingredienti più preziosi dei quadri di Vermeer, la sua luce è palpabile, con una consistenza che tocca le cose e le rende vive.
Questo è il suo merito, la ricercata minuziosità della luce e delle scene di interno, realizzate con l'uso della “camera ottica”, ha portato ad un livello di perfezione assoluta ed ineguagliata il naturalismo pittorico, in una legittima evoluzione del caravaggismo.
Probabilmente, per tanta meticolosità egli non venne riconosciuto dai suoi contemporanei, che guardavano alla sua tecnica più con curiosità che con ammirazione e, sempre per questo motivo, Vermeer non fu un pittore prolifico, la sua tecnica così sofisticata, infatti, gli portava via molto tempo, tanto che si contano circa 40 tele in tutto dell'artista.
Eppure oggi Jan Vermeer è riconosciuto come pittore ineguagliato nella resa dell’immagine più vera a profonda del suo tempo storico, attraverso la rappresentazione della semplicità delle azioni umane: leggere, versare latte, studiare, eseguire un lavoro, impartire una lezione e cose del genere.
Pertanto, non c’è da meravigliarsi che Napoli, la città simbolo del Seicento Barocco, ospiti una delle opere più conosciute ed amate del maestro fiammingo, quella Suonatrice di liuto che si dice abbia il volto della moglie di Vermeer e che, malgrado il suo non buono stato di conservazione, trattiene in quei pigmenti di colore tutta la bellezza dell'espressione della donna, illuminata da quella luce che tutto rende vivo.
Direttamente dal Metropolitan Museum di New York, per la prima volta arriva a Napoli, esposta al Museo di Capodimonte, con un allestimento d’eccezione: assieme al capolavoro di Vermeer quattro opere con donne suonatrici, provenienti dalla immensa e prestigiosissima collezione museale partenopea, di cui tre ispirate al’'ambito devozionale, a testimoniare come nel XVII secolo la scelta di musiciste potesse avere valenze assai differenti.
Rossella Marchese
Nella sua semplicità la scena è potente; la maestria con cui l’artista olandese ha “fotografato” il momento è frutto di uno studio certosino sulla luce e sui dettagli, suo segno distintivo.
Le composizioni delle tele di Vermeer, infatti, sono tutte attentamente composte, ogni elemento forma un insieme di grande equilibrio in cui la luce è protagonista; una luce che ha sempre una precisa provenienza: quasi sempre una finestra collocata sul lato sinistro della stanza, che fa entrare quel chiarore che anima la scena. Certamente uno degli ingredienti più preziosi dei quadri di Vermeer, la sua luce è palpabile, con una consistenza che tocca le cose e le rende vive.
Questo è il suo merito, la ricercata minuziosità della luce e delle scene di interno, realizzate con l'uso della “camera ottica”, ha portato ad un livello di perfezione assoluta ed ineguagliata il naturalismo pittorico, in una legittima evoluzione del caravaggismo.
Probabilmente, per tanta meticolosità egli non venne riconosciuto dai suoi contemporanei, che guardavano alla sua tecnica più con curiosità che con ammirazione e, sempre per questo motivo, Vermeer non fu un pittore prolifico, la sua tecnica così sofisticata, infatti, gli portava via molto tempo, tanto che si contano circa 40 tele in tutto dell'artista.
Eppure oggi Jan Vermeer è riconosciuto come pittore ineguagliato nella resa dell’immagine più vera a profonda del suo tempo storico, attraverso la rappresentazione della semplicità delle azioni umane: leggere, versare latte, studiare, eseguire un lavoro, impartire una lezione e cose del genere.
Pertanto, non c’è da meravigliarsi che Napoli, la città simbolo del Seicento Barocco, ospiti una delle opere più conosciute ed amate del maestro fiammingo, quella Suonatrice di liuto che si dice abbia il volto della moglie di Vermeer e che, malgrado il suo non buono stato di conservazione, trattiene in quei pigmenti di colore tutta la bellezza dell'espressione della donna, illuminata da quella luce che tutto rende vivo.
Direttamente dal Metropolitan Museum di New York, per la prima volta arriva a Napoli, esposta al Museo di Capodimonte, con un allestimento d’eccezione: assieme al capolavoro di Vermeer quattro opere con donne suonatrici, provenienti dalla immensa e prestigiosissima collezione museale partenopea, di cui tre ispirate al’'ambito devozionale, a testimoniare come nel XVII secolo la scelta di musiciste potesse avere valenze assai differenti.
Rossella Marchese