Un drappo rosso, un unico pezzo di un tessuto intriso di sangue e dolore con un taglio uguale nell'inizio e nella fine. Così appare l'ultimo romanzo di Andrej Longo, “L'altra madre” edito da Adelphi. Il terzo romanzo pubblicato dalla prestigiosa casa editrice, firmato dallo scrittore originario di Ischia è una immersione a piè pari in uno spaccato partenopeo truculento quanto reale. Una fiction che, in prima battuta, potrebbe rimandare il potenziale lettore alle serie tv thriller pulp di ultima generazione, ambientate a Napoli sui set più tristemente avvincenti.
Nella presa serrata della lettura la trama è incentrata su una coppia di adolescenti di opposta estrazione sociale. Figli di una coppia di giovani madri altrettanto diverse, accomunate dalla stessa e diffusa solitudine genitoriale. La prosa avanza in un ritmo irrefrenabile e crescente dove il linguaggio crudo e spietato, cifra di una infanzia negata, è già consumato nella ricerca di un’appartenenza al mondo degli adulti. Appartenenza accreditata grazie all'uso di un revolver e al maneggio spregiudicato di una moto.
Sull’altro fronte lo sbocciare dei primi amori, la passione per le conchiglie e i pesci del mare, prende corpo e sentimenti in una ragazzina di sedici anni. Incantata in un grande negozio del Vomero nella scelta del suo primo abitino da festa con l’amica del cuore.
Genny e Tania, i due figli di una Napoli diversa dai ricorrenti stereotipi, forse invisibile, ad ogni modo reale. Il loro incontro casuale, nato per una futile quanto assurda iniziazione delinquenziale segna l'evento tragico e violento, cuore nero dell'intera vicenda. La morte di Tania, vittima del “borseggio per gioco”, segnerà irrimediabilmente le vite delle protagoniste: le due madri.
L'altra, quella di Tania, “buona di professione”, espanderà il proprio lavoro (è poliziotta), oltre ogni ragionevole limite per farsi giustizia di un lutto inaccettabile.
L'altra, quella di Genny, correo nell'omicidio colposo, ha già scontato nella sua poverissima e stentata vita, una pena non meritata, immolandosi in vece del figlio.
Che nello spazio temporale di dodici giorni di un maggio immemorabile, vivrà (un eufemismo) esperienze fuori ogni controllo umano e cognitivo. In balia della reazione “materna” (un eufemismo), di Irene, quella “buona di professione”, oramai ex poliziotta, ex madre, ex donna, ma ancora un “essere umano”. Una creatura sopravvivente, lanciata in un vortice di azioni non contemplate nello scorrere quotidiano di una vita caotica e complicata, pur sempre incardinata in confini scrutabili.
La tensione emotiva che implode nel dolore materno, genera una lettura bulimica che divora le pagine del testo, pur graffiate da una scrittura tracimante pugni e rigurgiti sadici intorno a perle candide di struggente emozione.
Difficile stigmatizzarne la mancata ripresa panoramica sul belvedere della città.
Senza escludere a priori il probabile occhio chiuso degli osservatori istituzionalizzanti, puntuali e indispensabili, non esistono spazi per spunti polemisti. Nell’eventuale caso, sarebbero i tipici segnali di un target da best seller.
Adrenalina letteraria e pulsioni emozionali, più che compatibili.
Luigi Coppola
Nella presa serrata della lettura la trama è incentrata su una coppia di adolescenti di opposta estrazione sociale. Figli di una coppia di giovani madri altrettanto diverse, accomunate dalla stessa e diffusa solitudine genitoriale. La prosa avanza in un ritmo irrefrenabile e crescente dove il linguaggio crudo e spietato, cifra di una infanzia negata, è già consumato nella ricerca di un’appartenenza al mondo degli adulti. Appartenenza accreditata grazie all'uso di un revolver e al maneggio spregiudicato di una moto.
Sull’altro fronte lo sbocciare dei primi amori, la passione per le conchiglie e i pesci del mare, prende corpo e sentimenti in una ragazzina di sedici anni. Incantata in un grande negozio del Vomero nella scelta del suo primo abitino da festa con l’amica del cuore.
Genny e Tania, i due figli di una Napoli diversa dai ricorrenti stereotipi, forse invisibile, ad ogni modo reale. Il loro incontro casuale, nato per una futile quanto assurda iniziazione delinquenziale segna l'evento tragico e violento, cuore nero dell'intera vicenda. La morte di Tania, vittima del “borseggio per gioco”, segnerà irrimediabilmente le vite delle protagoniste: le due madri.
L'altra, quella di Tania, “buona di professione”, espanderà il proprio lavoro (è poliziotta), oltre ogni ragionevole limite per farsi giustizia di un lutto inaccettabile.
L'altra, quella di Genny, correo nell'omicidio colposo, ha già scontato nella sua poverissima e stentata vita, una pena non meritata, immolandosi in vece del figlio.
Che nello spazio temporale di dodici giorni di un maggio immemorabile, vivrà (un eufemismo) esperienze fuori ogni controllo umano e cognitivo. In balia della reazione “materna” (un eufemismo), di Irene, quella “buona di professione”, oramai ex poliziotta, ex madre, ex donna, ma ancora un “essere umano”. Una creatura sopravvivente, lanciata in un vortice di azioni non contemplate nello scorrere quotidiano di una vita caotica e complicata, pur sempre incardinata in confini scrutabili.
La tensione emotiva che implode nel dolore materno, genera una lettura bulimica che divora le pagine del testo, pur graffiate da una scrittura tracimante pugni e rigurgiti sadici intorno a perle candide di struggente emozione.
Difficile stigmatizzarne la mancata ripresa panoramica sul belvedere della città.
Senza escludere a priori il probabile occhio chiuso degli osservatori istituzionalizzanti, puntuali e indispensabili, non esistono spazi per spunti polemisti. Nell’eventuale caso, sarebbero i tipici segnali di un target da best seller.
Adrenalina letteraria e pulsioni emozionali, più che compatibili.
Luigi Coppola