Rivisitare Napoli per restituirne un’ idea omogenea sulla sua storia, lo stile di vita, il contesto, spesso ricordato come “napoletanità”, è una sfida. Un'impresa che affascina con cadenza ritmata nel tempo una varietà di autori, non sempre puntuali o adeguati allo scopo.
Pietro Treccagnoli con il suo saggio “La pelle di Napoli”, in libreria dallo scorso 18 maggio per i caratteri di Cairo Editore, realizza un unicum nel pianeta editoriale Napoli.
Il libro di Treccagnoli, cronista de Il Mattino di Napoli, racchiude quarantaquattro corrispondenze in altrettante situazioni e ambienti, visitati in prima persona nella città partenopea. Riunendo con un piacevole ritmo narrativo i servizi realizzati tra il 2014 e il 2015 per il primo quotidiano del Mezzogiorno d’Italia.
Il sottotitolo (Voci di una città senza tempo), evoca un potere taumaturgico, più che salvifico. Forse una semplice buona speranza coltivata con una ostinata capacità di riproduzione, insita nei tessuti cutanei di un corpo articolato e complesso, ferito e lacerato, piegato anche da colpi proibiti, segnato nelle rughe di una età millenaria. In ogni caso tenacemente impegnato in una continua evoluzione.
Presentato la prima volta lo scorso 26 maggio alla libreria Feltrinelli di Napoli alla presenza del presidente dell'Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, con le prime firme del giornalismo campano, il saggio non è un “libro dei Napoletani”, né può essere classificato come una mera fabula giornalistica. Questo articolato viaggio consiste in una vera maratona fra fondaci levantini, porte antiche, mercati storici e vicoli da labirinto. Consumato dall’autore esploratore in chilometri e suole di scarpe. Una esplorazione a tutto tondo in tanti luoghi e ritrovi della città millenaria, molti dei quali, sconosciuti ai tanti presunti cultori del golfo reale. Proprio l'attenzione di autorevoli intellettuali ha sortito inevitabili accostamenti politici anche per le recenti tornate amministrative, praticamente coincidenti con l'uscita del libro che per la sua genuina raccolta di umori e testimonianze conferma proprio l'equidistanza da eventuali connotazioni politiche.
Il minuzioso docufilm narrato, depurato dai troppi e mai superati stereotipi della vulgata contraffatta, è piuttosto una attendibile mappatura sociale e culturale dove le politiche istituzionali potrebbero e dovrebbero intervenire affinché, una prossima iniziativa di questo tipo, possa consegnare la lettura veritiera di una “nuova pelle” non rifatta con i lifting e i ceroni palliativi delle buone intenzioni.
C'è tanta roba, espressione piuttosto semplicistica e abusata, che rende il lavoro di Treccagnoli, un'opera di ampio respiro con un ideale filo rosso congiunto ai grandi autori del Novecento partenopeo. Difficile non associare ai percorsi consumati dallo scrittore, le Edoardiane “voci di dentro”; gli angusti scenari di Anna Maria Ortese o le corrispondenze di Luigi Compagnone e Raffaele La Capria. Non si tratta di cercare paragoni illustri. Il piacevole estro narrativo, già definito da Eduardo Milone “flaneur sanguigno”, rimanda nelle esternazioni di alcuni protagonisti a quella posa verace che fece la fortuna di tanti autori partenopei anche contemporanei: da De Crescenzo a Rivieccio, sino alla prosa universale di Troisi e Siani. La commistione fra i quartieri antichi, storici (il Pallonetto di Santa Lucia, Via Toledo) e le voci dei residenti si integra in uno scenario ruvido, dove bello e brutto sono netti e reali.
Non è la pentola che scoperchia il disagio: gli ucraini della Sanità, i cinesi di Gianturco, le schiere multietniche riversatesi negli ultimi lustri all'ombra del Vesuvio, imprimono una pesante zavorra piuttosto che il “patrimonio di una umanità” disarmonica. Umanità concentrata nei luoghi più diversi, accomunati dal persistente sfondo, un marchio dop nel triangolo “tufo, zella, mondezza”. All'unisono le voci dei protagonisti interpellati dal viaggiatore errante (per chi scrive dall’isola, tornano alla mente le visioni di Paul Valery con il suo “Viaggio in Sardegna”) non lasciano dubbi su quei “mille culure e mille paure” cantate dal compianto mentore Pino Daniele. Non solo immigrati e ultimi danno fiato alla “pelle” di Treccagnoli. Gli orefici del centro storico, i pescivendoli e fresellari del Borgo S.Antonio, i parcheggiatori abusivi con i custodi di luoghi sacri e reconditi, contribuiscono con spontaneo entusiasmo a colorare l’epidermide dello smisurato corpo. La prefazione di Alessandro Barbano, direttore de Il Mattino e la conclusione dello stesso autore che ringrazia il gioco di squadra dei colleghi (Gennaro Di Biase e Sergio Siano), decisivo nella selezione dei testi, conferma come il guado tra giornalismo e letteratura sia sostenibile, rispetto alla sete della conoscenza e all’amore per la narrazione.
Luigi Coppola
Pietro Treccagnoli con il suo saggio “La pelle di Napoli”, in libreria dallo scorso 18 maggio per i caratteri di Cairo Editore, realizza un unicum nel pianeta editoriale Napoli.
Il libro di Treccagnoli, cronista de Il Mattino di Napoli, racchiude quarantaquattro corrispondenze in altrettante situazioni e ambienti, visitati in prima persona nella città partenopea. Riunendo con un piacevole ritmo narrativo i servizi realizzati tra il 2014 e il 2015 per il primo quotidiano del Mezzogiorno d’Italia.
Il sottotitolo (Voci di una città senza tempo), evoca un potere taumaturgico, più che salvifico. Forse una semplice buona speranza coltivata con una ostinata capacità di riproduzione, insita nei tessuti cutanei di un corpo articolato e complesso, ferito e lacerato, piegato anche da colpi proibiti, segnato nelle rughe di una età millenaria. In ogni caso tenacemente impegnato in una continua evoluzione.
Presentato la prima volta lo scorso 26 maggio alla libreria Feltrinelli di Napoli alla presenza del presidente dell'Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, con le prime firme del giornalismo campano, il saggio non è un “libro dei Napoletani”, né può essere classificato come una mera fabula giornalistica. Questo articolato viaggio consiste in una vera maratona fra fondaci levantini, porte antiche, mercati storici e vicoli da labirinto. Consumato dall’autore esploratore in chilometri e suole di scarpe. Una esplorazione a tutto tondo in tanti luoghi e ritrovi della città millenaria, molti dei quali, sconosciuti ai tanti presunti cultori del golfo reale. Proprio l'attenzione di autorevoli intellettuali ha sortito inevitabili accostamenti politici anche per le recenti tornate amministrative, praticamente coincidenti con l'uscita del libro che per la sua genuina raccolta di umori e testimonianze conferma proprio l'equidistanza da eventuali connotazioni politiche.
Il minuzioso docufilm narrato, depurato dai troppi e mai superati stereotipi della vulgata contraffatta, è piuttosto una attendibile mappatura sociale e culturale dove le politiche istituzionali potrebbero e dovrebbero intervenire affinché, una prossima iniziativa di questo tipo, possa consegnare la lettura veritiera di una “nuova pelle” non rifatta con i lifting e i ceroni palliativi delle buone intenzioni.
C'è tanta roba, espressione piuttosto semplicistica e abusata, che rende il lavoro di Treccagnoli, un'opera di ampio respiro con un ideale filo rosso congiunto ai grandi autori del Novecento partenopeo. Difficile non associare ai percorsi consumati dallo scrittore, le Edoardiane “voci di dentro”; gli angusti scenari di Anna Maria Ortese o le corrispondenze di Luigi Compagnone e Raffaele La Capria. Non si tratta di cercare paragoni illustri. Il piacevole estro narrativo, già definito da Eduardo Milone “flaneur sanguigno”, rimanda nelle esternazioni di alcuni protagonisti a quella posa verace che fece la fortuna di tanti autori partenopei anche contemporanei: da De Crescenzo a Rivieccio, sino alla prosa universale di Troisi e Siani. La commistione fra i quartieri antichi, storici (il Pallonetto di Santa Lucia, Via Toledo) e le voci dei residenti si integra in uno scenario ruvido, dove bello e brutto sono netti e reali.
Non è la pentola che scoperchia il disagio: gli ucraini della Sanità, i cinesi di Gianturco, le schiere multietniche riversatesi negli ultimi lustri all'ombra del Vesuvio, imprimono una pesante zavorra piuttosto che il “patrimonio di una umanità” disarmonica. Umanità concentrata nei luoghi più diversi, accomunati dal persistente sfondo, un marchio dop nel triangolo “tufo, zella, mondezza”. All'unisono le voci dei protagonisti interpellati dal viaggiatore errante (per chi scrive dall’isola, tornano alla mente le visioni di Paul Valery con il suo “Viaggio in Sardegna”) non lasciano dubbi su quei “mille culure e mille paure” cantate dal compianto mentore Pino Daniele. Non solo immigrati e ultimi danno fiato alla “pelle” di Treccagnoli. Gli orefici del centro storico, i pescivendoli e fresellari del Borgo S.Antonio, i parcheggiatori abusivi con i custodi di luoghi sacri e reconditi, contribuiscono con spontaneo entusiasmo a colorare l’epidermide dello smisurato corpo. La prefazione di Alessandro Barbano, direttore de Il Mattino e la conclusione dello stesso autore che ringrazia il gioco di squadra dei colleghi (Gennaro Di Biase e Sergio Siano), decisivo nella selezione dei testi, conferma come il guado tra giornalismo e letteratura sia sostenibile, rispetto alla sete della conoscenza e all’amore per la narrazione.
Luigi Coppola