In scena al Teatro Mercadante La Signorina Giulia di Strindberg secondo Cristián Plana.
Quando venne rappresentata per la prima volta, all'unione studentesca di Copenaghen il 14 marzo 1889, La Signorina Giulia non ebbe un gran successo; in patria, invece, Strindberg non riuscì ad ottenere in alcun modo il lasciapassare per portare la sua opera davanti al pubblico, “troppo difficile, troppo rischiosa e troppo naturalistica” l'aveva definita il suo editore di Stoccolma Bonnier, peraltro senza sbagliare.
La Signorina Giulia, scritta tra la fine di luglio e l'inizio di agosto del 1888 fu effettivamente la prima tragedia naturalistica della letteratura drammatica svedese e non solo per questo fece scandalo.
La tragedia, in unico atto, si consuma tutta durante la notte di San Giovanni, la magica notte di mezz'estate occasione rituale di scatenamenti orgiastici, che spinge i protagonisti a sperimentare il superamento della barriera del sesso uomo-donna, maschile e femminile, ma anche quello della contrapposizione di classe, lo sconvolgimento dei ruoli, la sperimentazione del diverso. E durante questa notte in cui tutto può accadere, succede che Giulia, ricca aristocratica figlia di conte, decide di partecipare alla festa organizzata per l'occasione dalla servitù, e succede anche che il servo Giovanni viola nella maniera più becera e sguaiata la figlia del suo padrone, con il benestare di lei.
Tutte le barriere di classe e di casta si sgretolarono in un unico istante e in un'epoca in cui ancora i pruriti della nostra contemporaneità non erano la norma, gli scandali sessuali non erano all’ordine del giorno e le violenze psicologiche e fisiche non erano pubbliche, né l’erotismo era esposizione; allora la prevaricazione di un maschio di condizione sociale inferiore nei confronti di una giovane apparentemente lontana e inviolabile, appariva come un evento di enormità dirompente, ecco perché La Signorina Giulia divenne una indecenza totale.
Oggi, la “messinscena verticale” del regista cileno Cristián Plana offre una lettura de La Signorina Giulia completamente eradicata dal contesto sociale in cui la concepì l'autore, ma non per questo si mostra meno dirompente ed inquietante rispetto all'originale. Dagli allestimenti ai personaggi tutto appare esasperato e corroso; gli attori, costretti in uno spazio angusto senza finestre e senza vie d'uscita se non una pesante porta in ferro, si muovono in un ambiente che ricorda il ventre di una nave dismessa, pronta ad esplodere da un momento all'altro, così che il senso tragico di tutta la vicenda si carica di una disperazione e di un senso di alienazione quasi soffocante e che culmina in una morte in scena inevitabile.
Al pubblico non viene risparmiato nulla, la morte, le urla, la volgarità: Giulia (Giovanna di Rauso), Giovanni (Massimiliano Gallo) e Cristina (Autilia Ranieri), cuoca e fidanzata di Giovanni, si odiano e non si capiscono e questa frustrazione, amplificata dagli allestimenti da squallido film dell'orrore, si riversa per intero sugli spettatori probabilmente abbastanza frastornati e confusi, con ancora negli occhi la rassicurante porta vetrata della cucina da cui si intravede il giardino della villa, con la fontana e i cespugli di lillà in fiore, l'ambientazione originale di Strindberg.
Se al suo pubblico il drammaturgo svedese volle lasciare l'illusione in quella bellezza esterna irraggiungibile, a noi non è concesso neppure quello; non c'è scampo nel mondo allucinato de La Signorina Giulia di Cristián Plana.
Rossella Marchese
Quando venne rappresentata per la prima volta, all'unione studentesca di Copenaghen il 14 marzo 1889, La Signorina Giulia non ebbe un gran successo; in patria, invece, Strindberg non riuscì ad ottenere in alcun modo il lasciapassare per portare la sua opera davanti al pubblico, “troppo difficile, troppo rischiosa e troppo naturalistica” l'aveva definita il suo editore di Stoccolma Bonnier, peraltro senza sbagliare.
La Signorina Giulia, scritta tra la fine di luglio e l'inizio di agosto del 1888 fu effettivamente la prima tragedia naturalistica della letteratura drammatica svedese e non solo per questo fece scandalo.
La tragedia, in unico atto, si consuma tutta durante la notte di San Giovanni, la magica notte di mezz'estate occasione rituale di scatenamenti orgiastici, che spinge i protagonisti a sperimentare il superamento della barriera del sesso uomo-donna, maschile e femminile, ma anche quello della contrapposizione di classe, lo sconvolgimento dei ruoli, la sperimentazione del diverso. E durante questa notte in cui tutto può accadere, succede che Giulia, ricca aristocratica figlia di conte, decide di partecipare alla festa organizzata per l'occasione dalla servitù, e succede anche che il servo Giovanni viola nella maniera più becera e sguaiata la figlia del suo padrone, con il benestare di lei.
Tutte le barriere di classe e di casta si sgretolarono in un unico istante e in un'epoca in cui ancora i pruriti della nostra contemporaneità non erano la norma, gli scandali sessuali non erano all’ordine del giorno e le violenze psicologiche e fisiche non erano pubbliche, né l’erotismo era esposizione; allora la prevaricazione di un maschio di condizione sociale inferiore nei confronti di una giovane apparentemente lontana e inviolabile, appariva come un evento di enormità dirompente, ecco perché La Signorina Giulia divenne una indecenza totale.
Oggi, la “messinscena verticale” del regista cileno Cristián Plana offre una lettura de La Signorina Giulia completamente eradicata dal contesto sociale in cui la concepì l'autore, ma non per questo si mostra meno dirompente ed inquietante rispetto all'originale. Dagli allestimenti ai personaggi tutto appare esasperato e corroso; gli attori, costretti in uno spazio angusto senza finestre e senza vie d'uscita se non una pesante porta in ferro, si muovono in un ambiente che ricorda il ventre di una nave dismessa, pronta ad esplodere da un momento all'altro, così che il senso tragico di tutta la vicenda si carica di una disperazione e di un senso di alienazione quasi soffocante e che culmina in una morte in scena inevitabile.
Al pubblico non viene risparmiato nulla, la morte, le urla, la volgarità: Giulia (Giovanna di Rauso), Giovanni (Massimiliano Gallo) e Cristina (Autilia Ranieri), cuoca e fidanzata di Giovanni, si odiano e non si capiscono e questa frustrazione, amplificata dagli allestimenti da squallido film dell'orrore, si riversa per intero sugli spettatori probabilmente abbastanza frastornati e confusi, con ancora negli occhi la rassicurante porta vetrata della cucina da cui si intravede il giardino della villa, con la fontana e i cespugli di lillà in fiore, l'ambientazione originale di Strindberg.
Se al suo pubblico il drammaturgo svedese volle lasciare l'illusione in quella bellezza esterna irraggiungibile, a noi non è concesso neppure quello; non c'è scampo nel mondo allucinato de La Signorina Giulia di Cristián Plana.
Rossella Marchese