Agamennone, il delirio della colpa.
Una colpa lunga intere discendenze, una vendetta incancellabile e una hybris che verrà lavata a caro prezzo. Colpa ed espiazione portati ai più alti gradi della percezione umana, questo è il capolavoro di Eschilo di Eleusi, L'Orestea, unica trilogia del grande teatro classico pervenuta fino a noi.
Tutte le tragedie di Eschilo sono percorse da una tensione ininterrotta, alimentata dai canti di un coro che veicola il messaggio etico e religioso del Maestro, ma nell'Orestea tutto questo tende all'estremo: l'ambizione che acceca l'animo umano, la violenza del sangue che chiama sangue e la vendetta che soffertamente si trasforma in giustizia.
L'esperienza del dolore che deve educare, “pathei mathos”, rivendica Eschilo, è l'unica via possibile verso la catarsi; per i suoi contemporanei, che si immedesimavano nella solennità delle sue immagini drammatiche nonostante la complessità del linguaggio, Eschilo rappresenta la forza del sentimento religioso, mettendo in scena i conflitti umani e divini con la tragicità del Fato a cui nessuno può sottrarsi.
Con queste premesse Luca De Fusco firma la regia di questa Orestea del neonato Teatro Nazionale di Napoli; un progetto ambizioso e complesso che ha dovuto fare i conti con le difficoltà del testo e delle immagini di Eschilo, quelle parole “erte come torri ed imponenti come montagne” secondo Aristofane, con gli intrecci di prosa e musica, con l'assenza di azioni violente sulla scena e con la natura danzante degli stasimi… tutto calibrato per sfociare nel modo più gradevole possibile in una dimensione contemporanea, fortemente segnata da contaminazioni tra teatro e video.
Agamennone, il primo capitolo di questa trilogia, scava nel torbido di una storia antica quanto il mito, quanto gli stessi dei, il vecchio Re Atride il vincitore di Troia torna ad Argo per cadere vittima della vendetta a lungo covata di sua moglie Clitemnestra e di Egisto, amante di lei.
L'assassinio si tesse e si compie all'interno del possente palazzo e nulla di quelle sale è svelato agli occhi degli spettatori, fermi attoniti dinanzi alle alte porte d'ingresso della Casa di Atreo, a cui mai accederanno. Nulla può entrare nel palazzo e nulla di ciò che è entrato potrà più uscire, questo è il volere della Regina Clitemnestra (Elisabetta Pozzi), la sola a muoversi liberamente sulla scena, l'unica col potere per condurre il gioco; il suo odio e la sua tenacia avvolgono la scena fino a soffocare tutti, spettatori, corifei, lo stesso Agamennone (Mariano Rigillo), che deve cedere alla sua volontà entrando a palazzo calpestando sontuosi tappeti di porpora, una scena memorabile che la regia di De Fusco ha reso ancor più viva con il led; così una cascata rosso sangue appare sotto la sabbia calpestata dagli attori.
La sabbia che è coprotagonista di questo spettacolo è nera e fa paura, cela ricordi terribili, uomini striscianti e reliquie di guerra; nella sabbia si consumano gli spasmi e i deliri della sfortunata Cassandra (Gaia Arpea) e sempre nella sabbia Clitemnestra butta la spada insanguinata testimone del suo abominio.
L'impatto emotivo è grande, non una scena di violenza si consuma davanti allo spettatore eppure si sente nei dialoghi, nella sabbia e nelle movenze degli attori tutto il peso della carneficina che assieme alle Erinni aleggia ineluttabile sulla Casa di Atreo, così che le urla di Agamennone diventano preludio di nuove maledizioni e di ciò che a breve deve compiersi per mano di altri, affinché la tragedia possa proseguire di generazione in generazione.
La storia continua..
Rossella Marchese
Una colpa lunga intere discendenze, una vendetta incancellabile e una hybris che verrà lavata a caro prezzo. Colpa ed espiazione portati ai più alti gradi della percezione umana, questo è il capolavoro di Eschilo di Eleusi, L'Orestea, unica trilogia del grande teatro classico pervenuta fino a noi.
Tutte le tragedie di Eschilo sono percorse da una tensione ininterrotta, alimentata dai canti di un coro che veicola il messaggio etico e religioso del Maestro, ma nell'Orestea tutto questo tende all'estremo: l'ambizione che acceca l'animo umano, la violenza del sangue che chiama sangue e la vendetta che soffertamente si trasforma in giustizia.
L'esperienza del dolore che deve educare, “pathei mathos”, rivendica Eschilo, è l'unica via possibile verso la catarsi; per i suoi contemporanei, che si immedesimavano nella solennità delle sue immagini drammatiche nonostante la complessità del linguaggio, Eschilo rappresenta la forza del sentimento religioso, mettendo in scena i conflitti umani e divini con la tragicità del Fato a cui nessuno può sottrarsi.
Con queste premesse Luca De Fusco firma la regia di questa Orestea del neonato Teatro Nazionale di Napoli; un progetto ambizioso e complesso che ha dovuto fare i conti con le difficoltà del testo e delle immagini di Eschilo, quelle parole “erte come torri ed imponenti come montagne” secondo Aristofane, con gli intrecci di prosa e musica, con l'assenza di azioni violente sulla scena e con la natura danzante degli stasimi… tutto calibrato per sfociare nel modo più gradevole possibile in una dimensione contemporanea, fortemente segnata da contaminazioni tra teatro e video.
Agamennone, il primo capitolo di questa trilogia, scava nel torbido di una storia antica quanto il mito, quanto gli stessi dei, il vecchio Re Atride il vincitore di Troia torna ad Argo per cadere vittima della vendetta a lungo covata di sua moglie Clitemnestra e di Egisto, amante di lei.
L'assassinio si tesse e si compie all'interno del possente palazzo e nulla di quelle sale è svelato agli occhi degli spettatori, fermi attoniti dinanzi alle alte porte d'ingresso della Casa di Atreo, a cui mai accederanno. Nulla può entrare nel palazzo e nulla di ciò che è entrato potrà più uscire, questo è il volere della Regina Clitemnestra (Elisabetta Pozzi), la sola a muoversi liberamente sulla scena, l'unica col potere per condurre il gioco; il suo odio e la sua tenacia avvolgono la scena fino a soffocare tutti, spettatori, corifei, lo stesso Agamennone (Mariano Rigillo), che deve cedere alla sua volontà entrando a palazzo calpestando sontuosi tappeti di porpora, una scena memorabile che la regia di De Fusco ha reso ancor più viva con il led; così una cascata rosso sangue appare sotto la sabbia calpestata dagli attori.
La sabbia che è coprotagonista di questo spettacolo è nera e fa paura, cela ricordi terribili, uomini striscianti e reliquie di guerra; nella sabbia si consumano gli spasmi e i deliri della sfortunata Cassandra (Gaia Arpea) e sempre nella sabbia Clitemnestra butta la spada insanguinata testimone del suo abominio.
L'impatto emotivo è grande, non una scena di violenza si consuma davanti allo spettatore eppure si sente nei dialoghi, nella sabbia e nelle movenze degli attori tutto il peso della carneficina che assieme alle Erinni aleggia ineluttabile sulla Casa di Atreo, così che le urla di Agamennone diventano preludio di nuove maledizioni e di ciò che a breve deve compiersi per mano di altri, affinché la tragedia possa proseguire di generazione in generazione.
La storia continua..
Rossella Marchese